Danza terapia

Con la danza ci siamo scambiati dei bei pensieri

Ognuno degli psichiatri che mandarono loro pazienti al gruppo di Danza Terapia aveva un “invio del cuore”, cioè mandava una persona cui teneva particolarmente e di cui sosteneva la partecipazione. Lo psichiatra mio diretto superiore sostenne molto il progetto e mi offrì di tenere il gruppo in un circolo ARCI, cioè fuori da strutture connotate in senso psichiatrico. Questo arricchì il progetto di una serie di significati relativi all’autonomia, alla volontarietà di parteciparvi, alla libertà di spostamento per raggiungere un luogo proprio, dedicato per il tempo della seduta. Il posto era tipo centro sociale, con le pareti dipinte di nero, malandato, ma gratuito e garantito. Però da allestire, noi tutti insieme, e conquistare ogni volta, spostando attrezzi e srotolando i tappeti utilizzati per le lezioni di pizzica, fra le tracce del concerto rock del giorno prima e i preparativi per la festa di San Patrizio per quella sera, preservando il nostro luogo da intrusioni: “ci siamo fatti valere”, dirà Tamara. Anche questo è importante. In realtà le “scomodità” da affrontare tutti insieme rappresenteranno nel tempo un valore aggiunto.

E’ passato un anno dal primo incontro. Tolte le scarpe, sul tappeto, dopo i rituali di saluto e il riscaldamento siamo nel pieno della procedura. E’ maggio, danzando ci facciamo aria con dei teli: a turno, c’è chi la produce volteggiando e chi la riceve stando fermo. Poi le braccia diventano rami mossi dalla brezza e i teli si muovono con più vigore. Quindi andiamo nello spazio tutti insieme, rompiamo ripetutamente gli schemi di movimento cambiando direzione, per poi tornare ad incontrare gli altri e imbastire giochi a due. Edoardo, di solito poco comunicativo, ride, guarda gli altri negli occhi, ha un’espressione divertita, corre. Tanto che Marcella lo nota: “Edoardo ride: si vede che l’esercizio gli piace”. Nella verbalizzazione che segue, Marcella dice che “con la danza, ci siamo scambiati dei bei pensieri”, che a me sembra una frase molto bella che coglie la profondità del processo fra noi. Osserva che stiamo bene, che siamo affiatati, che siamo un gruppo.
Ad un certo punto del percorso le danzatrici cominciarono a sentirsi ingaggiate nella danza anche al difuori del gruppo DMT: qualcuna era andata a vedere il film su Pina Bausch, un’altra la si poteva incontrare agli spettacoli di danza al Teatro Regio. Credo che il fatto di danzare in un luogo non psichiatrico, in cui c’erano eventi musicali, altre danze, lezioni di djembe, abbia favorito di pensarsi un po’ meno attraverso un’identità psichiatrica, e di sentirsi parte piuttosto del mondo dell’arte.

La Danza Movimento Terapia Espressivo Relazionale, a cui mi sono formata, è un modello elaborato da Vincenzo Bellia, che ne indica tre opzioni (Bellia, 2007): la danza è la più completa delle esperienze motorie in quanto allo stesso tempo funzionale e simbolica, mossa da un’intenzione di comunicare e rappresentare, e quindi è intrinsecamente relazionale. La danza terapia, per orientare la danza, ha bisogno di conoscere la corrispondenza fra eventi motori, psico-emotivi e relazionali e le peculiarità di organizzazione, fisiologica o patologica dei soggetti; un sapere, in somma, da mettere in atto nei processi in gioco. Si colloca pertanto nel dominio della clinica.
E’ una terapia artistico-espressiva, che si ricollega al processo creativo e all’esperienza artistica e alla loro funzione terapeutica, come ci insegna il sapere antropologico. L’arte non è utilizzata per suscitare nel soggetto introspezione o qualcosa da sottoporre ad interpretazione.
E’ relazionale, essendo la dinamica espressiva fondamentalmente una dinamica sociale. Per Marian Chace, inventrice della danza terapia, il suo scopo ultimo è promuovere la partecipazione dell’individuo al gruppo. La danza si svolge negli spazi della relazione, proviene dal sociale e al sociale continuamente ritorna.